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Oltre alla riserva regionale “Lago di Serranella”, area umida localizzata alla confluenza dei fiumi Sangro ed Aventino, nel territorio di Altino si localizzano altre zone di un certo interesse naturalistico per la presenza di specie floristiche o faunistiche rare, nonché lembi di vegetazione residuale o fitocenosi estremamente localizzate di rilevante interesse fitosociologico, come nel caso delle formazioni arbustive mediterranee con ginepro e lentisco.
Di seguito vengono descritte queste aree che preservano altri valori ambientali, facendo riferimento agli elementi naturalistici di maggior pregio in ambito regionale e nazionale, nonché agli aspetti ecologici maggiormente caratterizzanti.
Uno studio più approfondito è stato effettuato per il bosco planiziale a ridosso del Rio Secco, in considerazione del notevole interesse fitogeografico e storico che questo residuo dell’antica selva di pianura riveste.
In Appendice vengono elencate le specie vegetali ed animali più rare e minacciate, meritevoli di tutela, presenti nel territorio di Altino.
BOSCO PLANIZIALE DI RIO SECCO
In considerazione dell’interesse floristico-vegetazionale di questo bosco di pianura, localizzato a ridosso del Rio Secco, prima che questo torrente confluisce nel fiume Aventino, è stato effettuato uno studio più dettagliato.
La ricerca, oltre agli aspetti floristici e vegetazionali, ha interessato anche gli aspetti storici per ricostruire le vicende che nel passato hanno portato alla totale distruzione delle selve delle pianure alluvionali del Sangro, Aventino e Rio Secco.
Introduzione
I boschi del fondovalle sono quelli che maggiormente hanno risentito dell’azione distruttiva da parte dell’uomo, specialmente negli ultimi secoli quando si è verificata una sistematica azione di disboscamento allo scopo di coltivare i suoli straordinariamente fertili, nonché di permettere l’insediamento stabile dei coloni nelle aree deforestate e favorire l’espansione urbana. La pianura alluvionale dell’Aventino e del Sangro, in Provincia di Chieti, ha così avuto lo stesso destinodi molte altre pianure in ambito regionale e nazionale che sono state completamente stravolte dall’azione dell’uomo per essere sfruttate in maniera intensiva.
Gli ultimi lembi di boschi residuali della pianura scampati alle distruzioni costituiscono, pertanto, un eccezionale documento sia sotto l’aspetto floristico-vegetazionale che storico e sociale.
Nella vallata dell’Aventino, solo una piccolissima formazione boschiva, localizzata nei pressi della confluenza con il torrente Rio Secco, testimonia la passata presenza delle selve primigenie nella pianura alluvionale di cui oggi rimangono solo mere espressioni toponomastiche. Si Tratta di un vero e proprio monumento naturale, o meglio, la vestigia di una natura ormai irrimediabilmente persa.
La distruzione delle selve planiziali della pianura dell’Aventino
Prima di gettarsi nel Sangro, il fiume Aventino attraversa un’ampia zona pianeggiante nei comuni di Casoli e Altino. Attualmente, l’area risulta intensamente coltivata e interessata da un forte processo di espansione urbana e, da qualche anno, anche alla realizzazione di insediamenti industriali e artigiani, spesso collocati a ridosso o proprio nell’alveo del fiume con tutte le intuibili e gravi conseguenze che ne potrebbero derivare.
La primitiva copertura forestale è testimoniata da alcuni toponimi che ricorrono nella pianura alluvionale: Selva di Altino, Selva Piana e Casoli; inoltre, in un documento catastale del 1890, relativo al territorio di Altino, compare il toponimo Salette, piuttosto frequente lungo i fiumi abruzzesi, con il significato di saliceto. Le ghiaie dei fiumi Sangro e Aventino di recente hanno restituito giganteschi tronchi d’albero, probabilmente di farnia (Quercus robur), che documentano gli antichi e grandiosi boschi che un tempo ricoprivano la fertile pianura. Nelle stesse ghiaie è stato rinvenuto anche un poderoso palco di cervo, probabilmente, uno degli animali che frequentavano le antiche selve oggi scomparse.
Quando e come furono distrutte le estese foreste lungo l’Aventino? Quali furono le motivazioni del massiccio disboscamento? Quali erano le formazioni forestali che ricoprivano il fondovalle? A queste domande si cercherà di dare una risposta.
Già nella prima metà dell’Ottocento, la pianura di Casoli ed Altino era ormai coltivata in maniera intensiva. Illuminante è la testimonianza del famoso botanico napoletano Michele Tenore che, in un suo viaggio in Abruzzo nell’anno 1832, attraversò e cos’ descrisse la pianura di Altino: “… dei rigagnoli che ne bagnano le basse falde, què laboriosi contadini derivar fanno copiose vene di acqua per irrigare i loro campi. Essi sono coltivati a granone e civaje, che vi fanno sfoggia della più rigogliosa vegetazione. La soverchia umidità che questo sistema di colture trattiene in qué bassi luoghi, per quanto sia propizia all’agricoltura, altrettanto nocivasi scorge alla condizione dell’aria, notabil danno arrecando alla salute de’ contadini che vi pernottano”. Il medico Giuseppe De Nobili di Casoli, nel 1835, si adopererò per la regimazione delle acque dell’Aventino e arrivò persino ad ipotizzare la deviazione delle acque del fiume sul letto del torrente Rio Secco mediante una lunga galleria, tutto per limitare i danni che le frequenti inondazioni dell’Aventino arrecavano alla pianura casolana ormai coltivata in maniera intensiva, grazie anche all’arrivo dei nuovi prodotti di origine americana come il mais, i fagioli, le zucche, il peperone e il pomodoro. Quest’ultimo ortaggio risulta essere coltivato per la prima volta in Abruzzo proprio nel territorio di Casoli già nel 1815 (Manzi, 1999).
Dagli atti del notaio Paglione di Gessopalena apprendiamo che alla confluenza tra il Sangro e l’Aventino, ove attualmente si localizza la riserva naturale di Serranella, nell’anno 1584 si estendeva un bosco di proprietà di Dionisio de Marinis, signore di Altino, che godeva del diritto di affittare le ghiande ed altri frutti prodotti da questa selva allora conosciuta come Mammuna (Marciani, 1989). D’altronde, nel secolo precedente, il papa Martino V confermò il selvaggio territorio delle Scosse, area localizzata nella Selva di Altino a ridosso del fiume, a Taddeo de Ricci (Manzi, 1994).
I boschi della pianura dell’Aventino, in particolare quelli delle Scosse, finirono nelle mani del Duca di Casoli il quale ne intraprese il taglio intorno all’anno 1720 per colonizzare e iniziare la coltivazione dei terreni del fondovalle, come si evince da alcuni atti rogati dal notaio Sciarra di Fara San Martino (Fiorentino, 1993). Questi documenti sono di grande interesse in quanto, oltre ad informarci sul periodo del disboscamento, testimoniano anche le modalità di bonifica dell’area. Gli operai addetti alle operazioni di esbosco, provenienti per la maggior parte da Lama dei Peligni, tagliarono e sradicarono tutti gli alberi considerati infruttiferi; risparmiarono, però, quelli fruttiferi, utili per l’allevamento dei maiali e per la sopravvivenza degli stessi uomini nei periodi di carestia, come nel caso delle querce, sorbi, peri e meli selvatici. Il legname tagliato veniva ammucchiato in maniera ordinata e le sterpaglie bruciate. Le terre così strappate alla foresta furono messe a coltura e vennero edificate le prime masserie per la permanenza stabile dei coloni in queste aree, precedentemente frequentate e sfruttate solo nel periodo invernale, in quanto malsane per la presenza della malaria, conseguenza dei ristagni di acqua e della presenza di vaste aree impaludate.
L’area di studio e metodi di indagine
Il bosco oggetto del presente studio si colloca a ridosso della sponda del torrente Rio Secco, nei pressi della confluenza del corso d’acqua con il fiume Aventino, in località le Scosse nel comune di Altino (CH), su un piccolo terrazzo fluviale ad una quota di circa 100 m.s.l.m. La valle dopo la confluenza con il Sangro, si allarga e diviene più ampia. Il substrato geologico su cui si sviluppa il bosco è costituito dal conoide di deiezione del torrente Rio Secco formato da clasti calcarei grossolani su cui è evoluto un suolo poco profondo e molto permeabile.
La formazione forestale si estende per circa 4 ha ed è delimitata da campi coltivati e dall’alveo del torrente. Il bosco è governato ad alto fusto, quantunque non si riscontra la presenza di alberi di grandi dimensioni, e viene sfruttato in maniera saltuaria con il taglio della legna da ardere ad uso familiare. Una pista sterrata spacca a metà il bosco; lungo il tracciato stradale si notano piccoli cumuli di rifiuti di vario genere e la presenza di diverse specie floristiche avventizie di origine esotica penetrate nel bosco proprio con i rifiuti ivi trasportati.
Per la nomenclatura floristica si fa riferimento a Conti (1998), la vegetazione è stata studiata ed inquadrata con il metodo fitosociologico.
La vegetazione del bosco di Rio Secco
La cenosi forestale in oggetto è costituita da un querceto a roverella (Quercus pubescens) ascrivibile all’associazione vegetale Roso sempervirentis – Quercetum pubescentis. Si Tratta di un querceto “caldo” caratterizzato dalla presenza di numerose entità floristiche temofile a distribuzione mediterranea che si insediano anche nei boschi di leccio (Quercus ilex): come la smilace (Smilax aspera), il caprifoglio (Lonicera etrusca), la robbia selvatica (Rubia peregrina), la rosa di San Giovanni (Rosa sempervirens), la vitalba fiammola (Clematis flammula). Lo strato arboreo è dominato dalla roverella a cui si associano altre essenze forestali con valori di copertura minori quali il cerro (Quercus cerris), l’orniello (Fraxinus ornus) e il leccio. Il bosco si presenta molto intricato per la massiccia presenza di specie lianose, in particolare la smillace e la rosa di San Giovanni.
Il querceto di Rio Secco mostra anche una facies più fresca in corrispondenza di piccoli avvallamenti del terreno ove si registra un suolo più profondo e una maggiore umidità: tale facies si caratterizza essenzialmente per la presenza del gigaro (Arum italicum) a cui si associano altre entità floristiche più mesofile come l’edera (Hedera helix), il prugnolo (Prumus spinosa), l’olmo (Ulmus minor), ecc.
L’associazione Roso sempervirentis – Quercetum pubescentis è stata rilevata anche per altre località abruzzesi (Biondi et. Al., 1990), marchigiane (Biondi, 1986; Allegrezza et al., 1997; Verdecchia, 2000) e umbre (Catorci, Orsomando, 1997), solitamente lungo la fascia costiera, oppure in aree interne con un clima di tipo mediterraneo o sub – mediterraneo.
La presenza di questa associazione boschiva sulla pianura alluvionale, anziché di una formazione forestale più mesofila come ci si aspetterebbe, è da relazionare al particolare substrato litologico costituito da ghiaie calcaree grossolane depositate dal torrente Rio Secco allo sbocco nella pianura, prima della confluenza con l’Aventino. Il substrato molto permeabile determina, quindi, un’aridità edafica che facilita l’insediamento di questa associazione vegetale caratterizzata dalla presenza di numerose specie termofile.
In altri settori della pianura alluvionale dell’Aventino e Sangro ove è presente un suolo più profondo e fresco, con falda acquifera alta e frequenti ristagni d’acqua, è difficile immaginare quale vegetazione potenziale il Roso semper virentis – Quercetum pubescentis. Infatti i piccoli lembi di bosco planiziale e riparale sopravvissuti lungo il Sangro e il torrente Gogna (Manzi, 1988; Manzi e Pellegrini, 1995) lasciano supporre che la grande pianura alluvionale, in passato, fosse occupata per la maggior parte dei boschi mesofili e in particolare da querco – carpineti, ossia boschi a dominanza di farnia (Quercus robur) e carpine bianco (Carpinus betulus). La farnia, una quercia maestosa tipica propri di questi boschi che si sviluppano nella fertile pianura del fondovalle, tuttora è presente lungo il torrente Gogna e il fiume Sangro (bosco di Mozzagrogna, boschi alla foce); inoltre si rinvengono individui isolati nelle campagne coltivate che testimoniano la potenzialità della specie. D’altronde, nella pianura casolana, la farnia viene citata tra le specie forestali anche in documenti notarili del ‘700 con il nome di ischio, termine che in passato indicava questa specie in Abruzzo (Manzi).
Conclusioni
Il bosco residuale di Rio Secco, quantunque limitato nell’estensione, presenta un notevole interesse sia di carattere botanico – vegetazionale che storico e sociale. Infatti, costituisce una preziosa testimonianza delle selve che un tempo ricoprivano la pianura alluvionale del bacino idrografico dei fiumi Sangro – Aventino e quindi un utile indizio per ricostruire la vegetazione potenziale. La sua esistenza dimostra che la vegetazione potenziale della pianura non è uniforme, ma diversificata in funzione del substrato geologico. E’ ipotizzabile che sui depositi grossolani della pianura, clasti e ghiaie calcaree, la vegetazione potenziale sia rappresentata da formazioni forestali maggiormente xeriche come nel caso dell’associazione Roso sempervirentis – Quercetum pubescentis descritta per il bosco di Rio Secco; mentre una vegetazione più mesofila dei querco – carpineti si sviluppa nelle aree caratterizzate da suoli più profondi e meno permeabili come sui suoli argillosi che costeggiano l’ultimo tratto del corso del torrente Gogna, anch’esso affluente del Sangro.
La formazione forestale oggetto di studio costituisce, insieme al bosco di Mozzagrogna, quantunque quest’ultimo si caratterizzi maggiormente come bosco ripariale anziché planiziale, la testimonianza ultima delle grandiose selve della pianura fluviale del bacino del Sangro la cui distruzione ebbe un impulso decisivo e un epilogo drammatico nel corso del XVIII secolo.
Il bosco di Rio Secco presenta anche un altro aspetto peculiare: la campagna che lo circonda la quale, almeno nel lato meridionale, ha conservato un aspetto tradizionale. Infatti, numerose sono le querce sopravvissute, sia isolate che in filari. Si tratta di una delle ultime testimonianze della campagna dei secoli XVIII e XIX, frutto dei disboscamenti descritti in precedenza che risparmiavano gli “alberi fruttiferi” e in particolare le querce indispensabili per l’allevamento dei maiali, attività di rilevante interesse socio – economico nella vallata del Sangro nei secoli scorsi (Manzi, 1989).
Concludo questa breve nota di carattere storico e botanico con un invito caloroso agli enti competenti e alla popolazione locale affinché prendano a cuore il bosco di Rio Secco e ne garantiscano la tutela e una appropriata valorizzazione. Questi pochissimi ettari di “selva” racchiudono valori naturalistici, storici e sociali notevoli, la cui distruzione non comporterebbe alcun vantaggio alla collettività ma solo la perdita di un tassello della storia naturale dell’area e della storia sociale ed economica degli uomini che in quel territorio hanno vissuto e continuano a vivere.
RUPE DEL CENTRO STORICO
Il centro storico di Altino si localizza su una rupe, costituita essenzialmente da calcare e marma, che si innalza fino ad una altitudine di 345 m. La rupe, in considerazione delle sue caratteristiche geomorfologiche e dell’acclività dei versanti presenta una buona naturalità ed aspetti ambientali interessanti.
Il versante meridionale si caratterizza per l’affioramento di bancate rocciose colonizzate da una vegetazione mediterranea costituita da gariche a cisti, lentisco e ginepri, inframezzate da prati aridi annuali, nonché piccoli lembi di vegetazione rupestre. Tra le specie più significative rinvenute si segnalano: Argyrolobium zanonii, Anthyllis tetraphylla, Stipa bromoides, Hyparrhenia hirta.
Rilevante è la presenza sulla sommità delle rupi di alcuni ginepri coccoloni (Juniperus oxycedrus ssp. Macrocarpa) (Biondi et al. 1988) ed esemplari di terebino (Pistacia terebinthus) che raggiungono anche dimensioni degne di nota. Sulle pendici più aride ed erose si localizzano formazioni arbustive con lentisco (Pistacia lentiscus), spina di Cristo (Paliurus spina – chrysti), acero minore (Acer monspessulanum). Va segnalata anche una popolazione ormai spontaneizzata di fico d’india (Opuntia sp.) che ha colonizzate le pareti sommitali della rupe, a ridosso delle ultime abitazioni. La specie, di origine americana, nei secoli scorsi è stata introdotta e diffusa per il consumo dei frutti eduli. A ridosso delle abitazioni si riscontra la presenza anche di altre essenze floristiche spontaneizzate, un tempo coltivate negli orti quali piante medicinali come nel caso di Lavatera arborea, Papaver sommiferum, Ruta graveolens (Manzi, 2006), oppure Lycium europaeum utilizzato per la realizzazione di siepi interpoderali.
Il versante con esposizione settentrionale, invece, ospita una fitta copertura boschiva costituita da diverse essenze forestali, quali cerro sui terreni argillosi alla base della rupe, roverella, mentre le zone più rocciose sono occupate principalmente dal carpine nero, ornello e leccio. Quest’ultima specie forma dei consorzi forestali di alto fusto, piccoli nell’estensione ma interessanti sotto l’aspetto strutturale e fisionomico, nelle vicinanze della grande rupe verticale costituita da marne e interessata da frequenti crolli e da una cavità. Il piccolo lembo di lecceta attribuibile all’associazione Orno – Quercetum ilicis si caratterizza nella fisionomia per l’abbondante presenza di una liana spinosa: lo straccia braghe (Smilax aspera).
Sulla rupe si localizza un sito di nidificazione di gheppio. Tra i grossi animali che frequentano il bosco, oltre alla presenza del cinghiale divenuta recentemente ubiquitaria, si segnala il capriolo, di cui sono state ravvisate le tracce ed osservato in maniera diretta un esemplare maschio, proprio in occasione della redazione del presente studio.
IL CALVARIO - BRICCIOLE
Il Calvario, localmente conosciuto anche come Monte, costituisce il rilievo che raggiunge la quota più elevata (434 m) nell’ambito del territorio comunale. Si tratta di una collina marnosa che nel lato settentrionale ed orientale presenta pendici molto acclivi, mentre il versante meridionale ha una morfologia piuttosto dolce. Le aree più acclivi e quelle con roccia affiorante sono rivestite da vegetazione naturale in quanto in passato utilizzate solo per la legna e il pascolo del bestiame. I boschi sono costituiti essenzialmente da querceti a roverella a cui si associano il carpine nero, il carpine orientale e, nei settori più termofili, il leccio e l’ornello. Le aree maggiormente erose sono interessate da formazioni arbustive dominate dal lentisco (Pistacia lentiscus) e dal ginepro rosso (Juniperus oxycedrus), non mancano le formazioni a cisto (Cistus creticus), a ginestrella (Osiris alba), specialmente sulla sommità del rilievo, e a camedrio doppio (Teucrium flavum). Sul versante orientale si rinvengono diverse rupi e, probabilmente, il sito di una vecchia cava per l’estrazione di materiale lapideo calcareo. Sulle rupi si localizzano preferenzialmente la fillirea (Phyllirea latifolia), il terebinto (Pistacia terebinthus) e l’acero minore (Acer monspessulam).
Va segnalata la presenza di un esemplare monumentale di ginepro coccolone (Junipeurs oxycedrus subsp. Macrocarpa), tra gli individui più grandi della regione, degno di nota e di tutela. Inoltre si rileva la presenza di un alto numero di orchidee sia nei prati, appartenenti essenzialmente ai generi Ophrys ed Orchis, che nel bosco (generi Limodorum e Cephalanthera).
Sul versante settentrionale, si rinvengono diverse aree un tempo coltivate ed oggi abbandonate, interessate alla ricolonizzazione della vegetazione spontanea. Nei vecchi terreni coltivati si osservano ancora vecchie varietà di ulivi ed alberi fruttiferi; inoltre si notano le opere di bonifica e sistemazione agraria quali muretti a secco, sentieri, terrazzamenti e resti di nuclei di vecchi abitati che accrescono il valore paesaggistico e documentario del territorio. Nella zona pianeggiante nell’area di Bricciole, si localizza un’interessante area orticola, segnata dalla regolare divisione degli appezzamenti, che sfrutta le copiose risorgive della zona. Tra le sorgenti, va ricordata per il suo interesse storico, nonché idrogeologico e naturalistico, una risorgiva di acqua sulfurea, in passato utilizzata anche per alcune forme di cure termali.
Tra le specie animali di maggior pregio rinvenute in zona si segnale la presenza del cervone (Elaphe quatuuorlineata), il più grande dei serpenti europei ed uno dei più rari e minacciati di estinzione (AA. VV., 2004). Tra i picchi è stata accertata la nidificazione del picchio verde e di quello rosso maggiore.
RILIEVI COLLI - CASTELLANA
Si tratta di un’area caratterizzata da rilievi in prevalenza marnosi tra cui si aprono vallate costituite da argille varicolori che spesso inglobano piccoli affioramenti calcarei. L’altitudine culmina con il rilievo denominato Colli (380 m circa), mentre le quote inferiori toccano i 200 m. I rilievi in buona parte sono interessati da vegetazione naturale, mentre le aree vallive e sub – pianeggianti sono soggette ad agricoltura. La vegetazione forestale è costituita da boscaglie in prevalenza di roverella a cui si associano carpine nero, nei versanti settentrionali, ornello e leccio nei versanti meridionali.
Nelle aree più acclivi, la vegetazione forestale è stata sostituita, a seguito dell’azione umana intensa in passato, da fitte formazioni arbustive costituite da lentisco (Pistacia lentiscus) e ginepro rosso (Juniperus oxycedrus), a cui spesso si associa il cisto (Cistus creticus). Si tratta di arbusteti mediterranei o sub – mediterranei, ben caratterizzati nella loro fisionomia e composizione specifica, che si riscontrano solo in alcune aree della bassa vallata del Sangro, sempre su affioramenti rocciosi calcarei o marnosi. Queste cenosi arbustive dominate da lentisco e ginepro, meritano di essere ulteriormente indagate sotto l’aspetto vegetazionale allo scopo di approfondirne l’inquadramento fitosociologico. Piccole aree pascolive si aprono all’interno di queste formazioni arbustive costituite da Stipa bromoides, Cleistogenes serotina e Fumana sp.pl.. Nelle aree più aride si rinvengono anche limitate estensioni di praterie steppiche a dominanza di Hyparrhenia hirta, caratteristiche nel loro aspetto e ben individuabili anche da lontano. Nel comprensorio, in particolare nell’area individuata dal toponimo Castellana, si localizzano diversi esemplari arborei di ginepro coccolone (Junyperus oxycedrus subs. Macrocarpa) che andrebbero tutelati ed opportunamente valorizzati.
Nei pascoli secondari a dominanza di Brachypodium rupestre si rinviene una specie floristica molto rara: il finocchio porcino (Peucedanum officinale) presente con diversi individui. Oltre che nel territorio di Altino, in Abruzzo la specie è stata segnalata solamente nell’area di Monte Pallano e nel territorio di Casoli (Conti, 1998). In passato il finocchio porcino veniva utilizzato nella farmacopea popolare per la cura di alcune forme di catarro e, secondariamente, per altre patologie e disfunzioni.
Spesso le aree coltivate ed abbandonate sono soggette alla ricolonizzazione di densi arbusteti, in particolare formazioni impenetrabili a spina di Cristo (Paliurus spina – christi).
Tra le specie animali si segnala la presenza del capriolo, nonché la nidificazione di due specie di uccelli rapaci: la poiana e soprattutto il nibbio reale, specie ornitica rara in ambito europeo e che sul versante adriatico della penisola non si spinge più a nord del bacino del Sangro. D’inverno i querceti dell’area costituiscono un’area di rifugio e di alimentazione per cospicui stormi di colombacci.
SANT' ANGELO
Sotto la frazione Sant’Angelo, sul versante che degrada verso il Sangro, si localizza un’area con buoni elementi di naturalità. Si tratta di un ambiente costituito da piccole balze arenacee, campi coltivati, uliveti con alberi monumentali, inframezzati ad incolti e residui di boscaglie a roverella.
Le balze arenacee si caratterizzano, oltre che per la presenza di un interessante giacimento fossilifero (in particolare resti molluschi bivalvi) che andrebbe ulteriormente indagato, per una vegetazione termofila costituita essenzialmente da praterie steppiche a Hyparrhenia hirta, una specie erbacea di origine sub – tropicale piuttosto rara e localizzata in Abruzzo che qui, invece, costituisce ampie formazioni sul suolo sabbioso. Ai piedi delle balze si sviluppano formazioni arbustive con alterno (Rhammus alaternus) e più a valle con lentisco (Pistacia lentiscus), specie in passato intensamente utilizzata sia per i frutti da cui si ricavava un olio impiegato per alimentare le lampade e per le foglie e i giovani rami da cui si otteneva tannino, sostanza indispensabile per la concia del pellame. Tra le formazioni di lentisco spesso si insediano anche densi ed impenetrabili macchioni di spino di Cristo (Paliurus spina – christi), localmente noto come vecache. Negli incolti, ormai colonizzati da praterie secondarie dominate da Brachypodium, si rinviene una specie vegetale molto rara in ambito regionale che in quest’area raggiunge il limite settentrionale del suo areale sul settore adriatico della Penisola: Ononis mitissima, specie anch’essa alquanto localizzata nell’ambito del teritorio regionale. Ulteriori indagini tassonomiche serviranno ad inquadrare meglio gli individui di Ononis diffusa rinvenuti a Sant’Angelo.
I boschetti residuali che scendono fin quasi sulla pianura alluvionale del Sangro sono costituiti essenzialmente da quercieti termofili a roverella attribuibili all’associazione Roso sempervirentis – Quercetum pubescentis. Lungo la vecchia strada si rinvengono esemplari di roverella di grandi dimensioni e, lungo le siepi, in primavera è possibile osservare la fioritura della bocca di lupo (Hermodactylus tuberosus), una specie di iris della caratteristica infiorescenza.
L’area presenta anche un notevole interesse di carattere agronomico, in particolare per quanto attiene alla coltivazione degli olivi. Ivi, infatti si localizzano alcuni tra gli uliveti più vecchi del territorio altinese, con alberi dalle dimensioni monumentali.
AREA CALANCHIVA LE MACCHIE
In località Le Macchie affiorano le argille rosse scagliose o valico lari della “colata gravitativa dell’Aventino – Sangro”. L’area centrale di questo versante che degrada verso il Sangro è caratterizzata da frane e smottamenti, nonché fenomeni erosivi molto accentuati. Queste forme di erosione sono tipiche proprio delle argille scagliose e ben si differenziano da quelli che si manifestano sulle più recenti argille grigie del Pliocene. Le argille scagliose risalgono infatti all’Oligocene e manifestano una colorazione variegata e diversificata. Ad Altino presentano una colorazione scura di fondo con striature di colorazione rossa o azzurrina, in relazione al contenuto di composti del ferro o del rame.
Queste forme erosive molto spinte ospitano un contingente floristico impoverito ma alquanto interessante e peculiare. Infatti le specie che riescono a vivere in questo ambiente presentano le caratteristiche delle piante pioniere e risultano ben adattate a vivere in condizioni ambientali estreme e su suoli con alti contenuti di Sali. Tra le piante più caratteristiche ed esclusive si ricordano Hordeum maritinum e Parapholis strigosa che costituiscono un’associazione pioniera nota ai fitosociologi come Parapholis strigosae – Hordeetum marini (Biondi et al., 1990). Tra le altre piante si ricordano Cardopatum corymbosum, una composita spinescente che cresce esclusivamente in questi ambienti, inoltre Podospermum laciniatum, localmente nota come varve e in passato oggetto di raccolta in quanto utilizzata quale pianta commestibile. Su queste formazioni calanchive si rinviene una interessante popolazione di Beta vulgaris subsp. Martima e di Cynara cardunculus, rispettivamente i progenitori selvatici della bietola coltivata e del carciofo. Le specie legnose che meglio riescono a crescere su questi terreni argillosi risultano essere la tamerice (Tamarix gallica) che solitamente si insedia sul fondo delle vallecole segnando questo paesaggio, e il pero selvatico (Pyrus amigdaliformis), un albero fruttifero tenuto in alta considerazione in passato poiché i piccoli frutti venivano raccolti per essere utilizzati nell’alimentazione del bestiame e sovente per quella dell’uomo. La tamerice è stata diffusa dagli uomini nel tentativo di stabilizzare i terreni argillosi e limitare l’insorgere di frane e smottamenti.
Sui campi coltivati, sul finire dell’estate, non è raro osservare un particolare infestante la Crozophora tintoria, meglio nota come tornasole, una specie erbacee utilizzata quale colorante naturale per alimenti. La colorazione che si ottiene da questa pianta varia in funzione del pH dell’ambiente di utilizzo.
L’area presenta, oltre ad un interesse di tipo floristico e vegetazionale, anche un certo interesse geomorfologico connesso all’affioramento delle argille scagliose in cui si generano facilmente fenomeni erosivi e di smottamento. Le argille scagliose, peraltro, inglobano una notevole varietà di rocce e minerali.
GLI ULIVETI
Il territorio di Altino, storicamente, ha trovato nella vite e nell’ulivo le colture meglio adattate alle condizioni climatiche e pedologiche del comprensorio. Si tratta di coltivazioni di pregio finalizzate, oltre che al consumo locale, alla commercializzazione e all’esportazione nei comuni dell’area montana. Ancora oggi, diversi settori del territorio altinese risultano caratterizzati da folti e vecchi oliveti che testimoniano il radicamento della coltura dell’albero sacro ad Atena e simbolo vivente del Mediterraneo. Oliveti si riscontrano nel settore meridionale del territorio comunale, ma soprattutto sui versanti collinari della contrada Sant’Angelo dai quali gli uliveti scendono fino a colonizzare la piana alluvionale dei fiumi Sangro ed Aventino. Si tratta essenzialmente di oliveti di antico impianto, con alberi vetusti, contorti dal tempo e dalle intemperie, spesso cavi all’interno. Alcuni di essi raggiungono dimensioni rilevanti e possono essere annoverati tra gli ulivi più grandi e monumentali in Abruzzo, come nel caso di alcuni esemplari a valle delle masserie di Sant’Angelo o di olivo gigantesco localizzato in pianura. Questi uliveti sono sopravvissuti alle due grandi gelate del secolo XX quelle dell’inverno 1929 e del 1956. In mezzo agli ulivi, spesso, si riscontrano altre essenze fruttifere in particolare mandorli e, più raramente, sorbi, cotogni, melograni. La varietà di olivo sono quelle antiche: gentile, crognaleto, olivastro, ghiandaro, per la produzione di olio, ndosso per la produzione di olive da frutto. In passato, gli olivi venivano impiantati anche all’interno delle vigne tradizionali in cui le viti erano governate ad alberello e sorrette da canne. Oggi, invece, gli olivi sono stati banditi dai moderni impianti viticoli, così come molti altri alberi fruttiferi che in passato crescevano frequentemente tra le viti. E’ cambiata anche il modo di potare gli ulivi. Anche le piante vecchie e secolari oggi vengono trattate al fine di facilitare la raccolta dei frutti anche in funzione dell’impiego delle macchine. Gli alberi non svettano più come nel passati, ma vengono potati bassi modellandoli nella caratteristica forma a vaso capovolto.
SPECIE RARE E DI PRESTIGIO
Di seguito vengono descritte le specie vegetali sevatiche, riscontrate nel territorio di Altino (al di fuori della riserva regionale di Serranella), di maggior pregio, in relazione alla loro rarità sul territorio regionale e nazionale, nonché per il loro interesse fitogeografico e per la necessità di salvaguardia.
Juniperus oxycedrus L. subsp. macrocarpa (Sibth. Et Sm) Neirl
Si tratta di una entità arbustiva, in Abruzzo presente solo in un’area ristretta nei comuni di Roccascalegna, Casoli, Altino, Gessopalena. Questo ginepro, solitamente localizzato sulle dune costiere, in Abruzzo si rinviene sui terreni argillosi della colata gravitativi dell’Aventino – Sangro o sui rilievi calcarei e marnosi (Biondi et al., 1988). Costituisce piccole boscaglie, oppure cresce solitario all’interno della macchia o su rupi e cenge. Nei territori di Roccascalegna ed Altino, il ginepro coccolone raggiunge dimensioni notevoli oltre 8 m di altezza, assumendo un portamento arboreo. In particolare ad Altino, si segnala nell’area il Calvario – Brecciole, un esemplare di dimensioni rilevanti per la specie, con il portamento monumentale, caratteristica che può fare di questo ginepro un vero e proprio richiamo turistico, almeno tra gli esperti ed appassionati. Altri individui dal portamento arboreo si segnalano nell’area Colli – Castellana, mentre i pochi esemplari sulla rupe del centro storico presentano dimensioni più contenute.
Le formazioni a ginepro coccolone del comprensorio, in considerazione della loro rarità e del fatto che questa pianta rientra tra le specie in pericolo di estinzione di Abruzzo (Conti et al., 1997), vanno adeguatamente tutelate e valorizzate.
Ononis diffusa Ten. – Ononide diffusa
Questa specie è segnalata per l’Abruzzo solo per la parte mediana del bacino del Sangro, in particolare nel territorio di Gessopalena in località Piane Vicenne, e in quello di Altino, nella stazione di Sant’Angelo. Queste località risultano del tutto inedite, la specie viene segnalata per la prima volta per la regione Abruzzo proprio in questo lavoro.
La pianta si sviluppa nelle praterie secondarie dominate da Brachypodium, nell’ambito dei terreni argillosi, spesso formando dense popolazioni. Gli individui rinvenuti in zona presentano alcune caratteristiche morfologiche intermedie con Onomis mitissima L. Nel territorio di Altino, la pianta è segnalata negli incolti sotto l’abitato di Sant’Angelo, sul versante Sangro ove forma anche piccoli popolamenti monospecifici. La stazione altinese segna il limite settentrionale dell’areale della specie sul versante adriatico della Penisola.
Peucedanum officinale L. – Finocchio porcino
In Abruzzo, questa specie un tempo tenuta in considerazione per i suoi impieghi nella fitoterapia, è molto rara e segnalata solo per il territorio di Atessa (Vallaspra), Casoli (Grottaimposta) (Conti, 1998) ed Altino. In quest’ultimo comune, in cui la presenza della specie risultava finora del tutto inedita, si rinviene nei pascoli secondari inframezzati a boscaglie in località Castellana.
In passato le radici che secernono un lattice di colore giallognolo, venivano utilizzate nella medicina popolare per curare i catarri cronici dell’apparato respiratorio, contro le febbri intermittenti e quale regolatore del ciclo mestruale (Negri, 1976).
Hyparrhenia hirta (L_) Stapf subsp hyrta – Barboncino
Si tratta di una graminacea di origine sub – tropicale, che cresce in ambienti aridi non distanti dalla costa. In Abruzzo questa pianta non risulta molto rara, si localizza essenzialmente nella provincia di Chieti dove forma anche caratteristiche praterie di limitata estensione. I pascoli ad Hyparrenia hirta della zona sono stati inquadrati nell’associazione Onosmato echiodis – Cymbopogonetum hirti (Bionde t al. 1988). Nel territorio di Altino, le formazioni più interessanti ad Hyparrhenia si rinvengono in località Sant’Angelo.
SPECIE ANIMALI RARE
Segue la descrizione delle specie faunistiche di maggior interesse rinvenute nel comprensorio altinese al di fuori del perimetro della riserva regionale di Serranella. La scelta delle specie è caduta su quelle più rare, in declino, o con maggiori problematiche connesse alla conservazione.
Capriolo (Caproleus caproleus)
La specie è presente nel territorio di Altino ove è stata segnalata sia nei boschi che ammantano la rupe del centro storico che nelle boscaglie dell’area Colli – Castellana. Si tratta, probabilmente, di caprioli che discendono dalle reintroduzioni della specie effettuate a partire dai primi anni ’70 del Novecento in diverse aree protette della regione.
Il capriolo potrebbe trovare nel territorio collinare di Altino, come in buona parte delle aree circostanti, un ambiente ottimale in quanto predilige territori caratterizzati dal compenetrarsi di boscaglie, incolti, coltivi e siepi.
Nibbio reale (Milvus milvus)
Si tratta di una specie di rapace sedentario, raro e in declino in tutto il suo areale europeo. In Abruzzo è presente una cospicua popolazione nidificante nel settore meridionale della regione, fino al fiume Sangro che segna il limite settentrionale per questa specie nel versante adriatico della Penisola. Nel bacino del Sangro la specie sverna e si riunisce anche in dormitoi comuni ove si contano anche oltre 30 individui, forse alcuni di questi esemplari provengono da altre nazioni europee poste a latitudini più alte e che in Abruzzo giungono per svenare. I nibbi reali localizzati nella valle del Sangro risultano essere quelli maggiormente studiati in ambito regionale (Manzi, 1999, Manzi et al., 1992, 1991).
Nel territorio di Altino, il nibbio reale nidifica, caccia e sverna in maniera più o meno regolare.
Cervone (elaphe quatuorlineata)
Si tratta del più grande dei serpenti europei e tra i più legati ad un clima di tipo mediterraneo.
Presenta un’indole piuttosto docile e per quanto risulta, attualmente, l’unico serpente catturato dai serpari nella festività di San Domenico a Cocullo ed in altre aree regionali. Trattandosi di un rettile molto raro e in rapido declino a causa della distruzione del suo ambiente, viene tutelato dalla Comunità Europea attraverso la direttiva “Habitat” (AA: VV:, 2004).
Ad Altino la sua presenza è stata accertata in località il Calvario anche se non si esclude una diffusione più capillare nelle aree idonee costituite da boscaglie e cespuglieti in aree assolate.
Granchio di fiume
Crostaceo legato a fiumi, torrenti, nonché sorgenti, pozze e stagni. Ad Altino la specie vive, oltre che lungo le rive dell’Aventino e del Sangro, anche sul rio Secco. Si tratta di una specie più resistente ai parassiti e all’inquinamento del gambero, oggetto come questo di raccolta illegale per il suo utilizzo in cucina. L’inquinamento dei corpi idrici e la loro degradazione attraverso la cementificazione delle sponde e rettificazione, unitamente al bracconaggio, costituiscono i pericoli principale per questa specie (AA. VV:, 2004).
Si ringraziano per la gentile collaborazione i professionisti che hanno fornito i testi e le immagini pubblicate:
Mario Pellegrini
Coordinatore, naturalista, Direttore della Riserva Naturale Lago di Serranella.
Aurelio Manzi
Insegnante, Botanico, Esperto di storia dell’ambiente.
Giuseppe Manzi
Insegnante, Architetto, Storico.
E' possibile accedere al Comune tramite strada asfaltata.
Pagina aggiornata il 25/02/2025